.: perchè qui non so amare?
di piko! (del 27/08/2002 @ 12:11:26, in _muy felìz :., linkato 1455 volte)

perchè qui non so amare?

[con qualche riferimento sacro-profano-multiesperienzioculturale]

il creato è condannato a non aver senso.

ma non perchè un dio ha voluto così, è a causa di qualcuno che l'ha trascinato fino a divenire quel che è.

tutto l'universo aspetta con grande impazienza il momento in cui la sofferenza, stereotipo delle incongruenze, mostrerà il suo vero volto.

siamo certi della fondamentale inconoscibilità di quel che ci circonda, eppure il problema non ci tange più di tanto.

sapere certo non esiste: anche la matematica si fonda su assiomi, indimostrabili per il semplice fatto che altrimenti non li avremmo chiamati assiomi.

in verità questa è una dimostrazione dell'esistenza di dio?

il materialista cosmico più tenacemente convinto del proprio ateismo, dovrà ammettere che anche la più pura ed astratta delle scienze ha un limite, definito da una domanda piccola, ma di vitale importanza: perchè?

seguendo un ragionamento dicotomico, giungeremo ad un grado di essenzialità della questione che ci costringerà a rispondere il classico perchè si. e dopo non mi venite a dire "ho la dimostrazione, ma il margine della pagina è troppo piccolo per contenerla...".

a pensare che questa avrebbe dovuto essere una riflessione semiseria, per addolcire un pò il tono della raccolta. va bene, ricominciamo.

sai, convincere mamma, e soprattutto nonna, della validità di questa esperienza non è stato difficile.

i guai sono stati altri.

la mattina della partenza mia sorella mi costringe a svegliarmi alle cinque, quando si partiva dopo pranzo. è che l'emozione del viaggio va provata fino in fondo, da pionieri. la sua valigia, di peso e dimensioni ignobili, conteneva più o meno i viveri di un supermercato più i vestiti del magazzino ad esso soprastante, con ovviamente qualche aggeggio inutile da donne. dico, vai in croazia, in un paesino di 34 abitanti, per di più dormi sul prato di un ospedale, ma cosa ci fai con 4 paia di scarpe ed una radiosveglia!?! la mia si, valigia essenziale, compatta, venti magliette e tre calzoncini.

bisogna capire che quando si viaggia s'ha da portare a spasso anche la valigia, a volte sulle spalle; e poi stiparla nel treno, o in autobus, non è mai un'impresa facile. devi poterci anche dormire sopra, allungato in un angolo della stazione, devi poterla aprire senza che ti esploda in faccia, devi riuscire a ricordare quel che ci hai messo dentro. vi prego però, non fate come mia nonna, che attacca sull'apertura l'inventario (!) dei contenuti.

poi sacco a pelo, quel che puoi te lo metti addosso, diciamo quel che ha un valore...che ne so, qualche kuna, magari un documento che serve sempre, il telefonino no perfavore che mia madre mi chiama 245780 volte, che poi per gli italiani è diventato la naturale estensione del braccio...lasciamo perdere, ha rovinato quel barlume di senso magico che c'è nella socializzazione tra individui.

ecco, primo punto a favore dei bambini di gornja bistra. sono così semplici e spontanei, scevri dalle superficialità e dai consumismi di questa società di frivolezze... spesso mi trovo a contatto con i bambini delle nuove generazioni, e vi dico che ho vent'anni ed il cambio generazionale già si sente, magari li vedo da soli in un angolo giocare con il loro amico telefonino da un milione e mezzo, che i genitori furbescamente regalano, per far cosa poi non so. a ripensare ai tempi miei, che poi sono 5 o 6 anni fa, quando si giocava ancora con i giocattoli, oggi sembrano demodè, roba da bambini.

si, ma voi siete bambini!

ok, scusate il volo pindarico.

poi ti porti sempre da mangiare, perchè durante il viaggio non è che il treno ferma per te, e ti assicuro sarà l'ultimo pasto decente che farai.

allora ti ritrovi con la macchina piena di valigie, gli amici che magari vengono per salutarti e quelli che partono con te, comunque pieni di quell'ebrezza adrenalinica del piede fuori dalla porta.

vabbè, per ora stiamo andando solo a roma termini, ma non è la destinazione, quanto lo spirito che conta.

in fin dei conti se vogliamo fare i volontari non si deve arrivare in capo al mondo, basta già guardare in famiglia, perchè diciamolo, il problema del sociale nasce sempre da lì. è ovvio che se i bimbi di gornja bistra avessero avuto tutti dei genitori che li accudissero, non sarebbero servite le nostre "cure parentali", perchè il peggio della loro condizione era (fortunatamente non è più, merito di tutti i volontari, ripeto, volontari, non genitori o personale retribuito) questa trascuratezza nelle emozioni, nei sentimenti, che li declassava quasi a soprammobili. perdonami questo essere così cinico, ma credo che un cucciolo d'uomo vada seguito, amato ed educato, qualsiasi forma abbia: cosa c'è di più bello di un bambino e quale realizzazione migliore di vederlo crescere, forgiandolo con una morale dai principi seri, concreti ed universalmente condivisi?

di nuovo, torno al viaggio. questo scrivere è un flusso di coscienza: parolibere. sul treno si fa sempre un pò di conoscenza, persone squisite con cui dovrai abitare per un pò. sono dell'idea che chiunque intraprenda un viaggio simile abbia una marcia in più, ed è bello scoprire che anche la persona che vedi tutti i giorni sia così allegramente diversa. eh si, un familiare clima di amicizia. appoggiato un attimo ad una colonna, aspettando il secondo treno, per venezia mestre stavolta, si canta qualche canzone. sono attimi di street-livin', che ricorderai, perchè ti sembra di avere una libertà sconosciuta al resto del mondo, ed anche perchè vedi distinti signori sbattersene delle convenzioni e tornare un pò alle origini da ragazzi: se ne va via tutta quella patina di ripettabilità, autorevolezza, di "distacco professionale".

questo tema vale anche dentro l'ospedale. "la medicina tende a migliorare il tenore di vita", ed in fin dei conti noi volontari siamo tutti un pò malati di "eccessiva felicità".

comincia il vero stress, perchè l'italia è bella si, ma per arrivare fino a venezia mestre ci vuole un anno. ragioniamo, se dormi adesso stanotte non si sa se fai il solitario sul sedile davanti (sempre che sia libero...) o chiacchieri con un signore grasso e baffuto di budapest; tuttavia potresti cantare a squarciagola "azzurro" o simili per ore, magari fare pure un pò di avanspettacolo per i compagni di scompartimento, per scoprire poi che di notte non riesci a dormire perchè alla frontiera ti controllano i documenti ogni 8 secondi, e il signore grasso coi baffi di budapest puzza di salame e appoggia la testa sulla tua spalla, e non puoi nemmeno allungare le gambe sul sedile davanti, perchè ci sono due francesi ubriachi e fumati puzzolenti pure loro perchè fanno l'interrail est-europa da circa sei mesi.

pensi come disse lenin: che fare? senti in te reduplicare le forze e decidi di non dormire nè il giorno nè la notte, perchè il viaggio va succhiato nell'essenza, e per tutta la sua durata.

tra canti balli, scenette tragicomiche e soprattutto ragazze che non sputano un attimo di sparlare di chi-cosa-come-quando, decidi di fare un salto al bagno. cerchi di immaginare il funzionamento del "bagno chimico", e scopri che i tuoi rifiuti organici finiscono sulle rotaie quando tiri la catena. noi pensiamo che a tirare la catena (che poi a casa pigiamo sempre un bottone, comunque insistiamo nel dire così) esca l'acqua, invece no, si sposta una diga circolare di plastica nera grossa come un cd, e attraverso il simpatico foro osserviamo correre le rotaie, salutando il nostro regalino. complimenti alla teconologia italiana del bagno chimico. più che altro meccanico-napoletano nella soluzione, con tutto il rispetto per l'ingegnosità del sistema e dei partenopei. deliravo dopo questa scoperta, specialmente pensando a cosa succede sugli aeroplani. non so se vi capita mai di sentire una gocciolina mentre camminate, ma non piove, c'è il sole, che sarà?

la malinconia delle verdi colline che scorrono, si mischia ai ricordi di viaggi precedenti, ai pensieri per chi non ce l'ha fatta, a quel che verrà, e alla fine si affaccia il buffo spostamento in autobus dell'estate precedente. gente nuova, quasi mai vista, un autobus e due furgoni un pò scassati della diocesi, ovviamente destinati ad arrivare a gornja bistra in qualche maledetto modo. trovo spazio dietro una sedicente quasi-trentenne, ho fotunatamente l'accortezza di prendere il posto sul corridoio, non vicino al vetro, vista la larghezza dell'intercapedine tra i sedili, perchè di tale si trattava. il viaggio comincia, e non passano cinque minuti che daniela q., così si chiamava la ragazza davanti, attacca una chiacchiera direi quasi degna della mia. con il visino dolce dolce mi chiede "posso allungare il sedile?" ed io, scemo, convinto che la cavalleria non è morta, "certo...!". del resto come dirle di no? ma no, cosa pensi, mica perchè era caruccia, è l'atmosfera di gornja bistra che, dico davvero, infonde un'aura di disponibilità, di fratellanza, che non trova spazio a casa nostra. da qui il titolo infatti, che poi non è mio, me lo scrisse laura m. di ancona in una lettera. mi accorsi dell'errore fatale quando dopo un quarto d'ora avevo i crampi. le gambe anchilosate, le orecchie distrutte dal ritmo martellante di daniela, e poi l'aria condizionata a tremila, dritta sulla nuca, omicida, la notte ed un blasfemo film comico che abbiamo visto in due, mi piombarono in uno stato pressochè impossibile a descriversi. l'altro, alessandro p., m'aveva detto "mi siedo qua, almeno stò con qualcuno di compagnia", perchè evidentemente anche lui non riusciva a sostenere i ritmi di daniela, ed iniziato il film si sbellicava dalle risate, forse in preda a delirio da ubriachezza di sonno. io ero lucido, e il film non faceva affatto ridere. nel climax del calvario, matteo g., mio carissimo amico che avevo deciso di invitare ad intraprendere la missione con me, si addormenta. poichè non è di dimensioni "canoniche", quanto "cannoniche" o "camioniche", nel sedile non c'entravo più! è lo spannung. prendo lo zaino, l'allungo per il corridoio dell'autobus, m'allungo sulla moquette rossa datata 1937, e lascio in pasto agli acari (avrei voluto che fossero stati acari, ma era grossi come scarafaggi) braccia e gambe, visto che avevo maglietta e calzoncini. nel viavai di gente, classico avant-andrè, non si dormiva. la risoluzione: gli scalini della porta centrale. metallici, freschetti, sicuramente meno comodi, ma anche meno rischiosi. ore cinque, fermata all'autogrill. escono tutti, io ero talmente scomposto e calpestato che mi ci è voluto un pò per riattivare i sensi. silvia m. mi guarda alzarmi dall scalino, lei stava male, aveva la febbre. vabbè, non credere però che l'autobus fosse un lazzaretto. dai, è roba ermanno-travel insomma. allora m'alzo, mi stiro, fa freschetto, alba alla stazione di servizio, apro lo sportello ancora addormentato per prendere il k-way, ma dò una capocciata tremenda sullo stipite che silvia scoppia a ridere. lei lo ricorderà, poi siamo diventati amici, ma mi sono girato ed un disgustato vaffank*** non gliel'ha tolto nessuno.

mi fa ritornare in me massimo de c. che canta, o meglio urla, con il suo tono alla gigi d'alessio; portentoso si, ma io gigi d'alessio lo odio. più che un risveglio, è un sobbalzo. venezia mestre. in realtà il pulviscolo atmosferico di quelle zone è costituito di zanzare, grosse al minimo come un pugno. appena scesi giuliano de m. viene punto sul polpaccio, e gli si fa un bozzo davvero uguale a quello dei cartoni animati giapponesi: di forma cilindrica, alto un centimetro: non è una bolla, è un bozzo! lui sta lì lì con la lacrimuccia perchè gli arreca un certo fastidio, mentre mia sorella si improvvisa rambo e con borse e ciabatte fa una carneficina di insetti sui muretti dei sottopassaggi. ragà, le risate... e poi immaginate le valigie pesantissime di tutte le ragazze a risalire le scalinate dei sottopassaggi... c'era cecilia c. che trascinava la valigia di traverso salendo le scalette tirandola con due mani. allora appratati come un branco di bufali a mangiare, aspettiamo dalle 21 circa il treno per budapest, che passa a mezzanotte e qualcosa.

si sale per budapest. le luci sono spente. una trovata pubblicitaria? un vagone romantico? invece no: per un guasto all'impianto elettrico tiriamo fuori le torce (le volontarie sono sempre fornitissime...hanno anche paura del buio!) e cerchiamo di sistemare i bagagli, ovviamente dopo aver trovato i nostri scompartimenti, prenotati e puntualmente occupati, che non si vedeva proprio nulla. alcuni giapponesi (?) sgombrano subito, in fin dei conti eravamo stati cortesi, ma c'era questo signore, ungherese come il salame, che faceva proprio finta di non capire... con la violenza psicologica l'abbiamo fatto alzare: basta fare un casino tremendo mentre lui cerca di dormire. semplice, no?

e pensate quant'è piccolo il mondo, trovo sul treno gente delle mie parti. peccato averla conosciuta tra una bestemmia ed un'insulto perchè facevamo bordello di notte con la chitarra. i colpi che m'avrà mandato quello...torna la luce, gradevole, blu. cerchiamo di dormire ma...

a villa opicina è regolare, documenti. tutto ok, si torna a nanna. ma chi immaginava che da lì in poi, per quella lingua di slovenia che si deve attraversare, si va a 0,5 km all'ora, scendono 7634 persone con borsoni e baffi di quelli che si rigirano dal basso verso l'alto, e ti richiedono i documenti proprio nel momento in cui ti sei accomodato, incastrato tra le pieghe e le giunture dei sedili... alora entra la poliziotta slovena, bionda, quel pazzo di massimo gli dà la carta d'identità, lei guarda la foto, guarda lui, e lui con la faccia da mollicone lui le fa "carino eh?". noi abbiamo gradito la battuta, lei insomma...infatti ci ha controllato anche nei calzini...meno male che le armi e la droga le avevamo nascoste nelle mutande (!)...scherzo.

così proseguendo per sei o sette volte, si piomba in un sonno secolare, sotto l'acqua fresca che entra dal finestrino rotto, insieme al vento gelido del nord adriatico (vabbè, non era propriamente la bora, però...). si scende a zagabria, ore 5:30, piove a dirotto, sembra dicembre, noi maniche corte e calzoncini, giuliano col poncho della gmg a toronto, ci allunghiamo nell'atrio della stazione. quel mago di francesco i. il pasticcere aveva portato venti, dico venti cornetti con la nutella fatti con le sue manine fatate, per farci fare colazione! preso d'assalto, è stato sepolto dalle valige mentre facevamo man bassa di tutti i suoi dolci dolciumi... voglio ringraziarti frank, io ne ho mangiati quattro.

la nostra fortuna è stata quella di andare a gornja bistra proprio durante l'alluvione a praga, che dista si un bel pò da zagabria, ma l'acqua arrivava eccome: comunque mia nonna, con la sua geografia un pò approsimativa, mi ha chiamato per sincerarsi delle mie condizioni, le ho detto che sapevo nuotare. guarda caso invece la settimana dopo, quando è arrivato ermanno con 48905 nuovi volontari, è uscito un sole che spaccava le pietre. l'ultima goccia è caduta 5 minuti prima del suo arrivo, io lo dico sempre che lui da lassù è raccomandato...

torniamo allora indietro di una settimana, scusate la parentesi. da glavni kolodvor (uguale roma termini) a cernomeretz (in pratica l'anagnina di zagabria), passa un tram che si prende proprio sotto il monumeto di re tomislav, che fa il giro della città. allora buoni buoni carichiamo tonnellate di valigie, e mentre il tram è costretto a rimanere alla fermata un quarto d'ora, con tutte le benedizioni del conducente e dei passeggeri, timbriamo più o meno due biglietti per sedici persone: dice che li dobbiamo risparmiare per le sere in cui usciamo, o per fare la spesa, circostanze peraltro mai verificatesi. ho una fotografia di mia sorella a cernomeretz con gli occhi grossi e rossi come due palle da biliardo, pubblicata anche su ruah: è esemplificativa delle condizioni di freschezza psico-fisica in cui versavamo. si attende un bel pò, perchè zagabria impiega del tempo per mettersi in moto, poi i collegamenti città-paesini sperduti lo sappiamo tutti che non sono granchè, in italia è pure peggio. saliamo sull'autobus, mi siedo a fianco a giuliano, che occupa tre posti solo per la valigia: mi giro, lui aveva il lettore cd portatile, gli faccio "che ascolti?" e lui "oasis", mi volto a guardare fuori dal finestrino, mi rigiro dopo forse 10 secondi, "giulià...", quando lo vedo era accasciato a dormire con gli oasis a palla nelle orecchie, appoggiato al palo dove ci si aggrappa. pure emanuele k non è stato da meno, con la guancia sul finestrino. poi quel rumore monotono, quelle verdi distese, la croazia ed il suo ordine, la vecchietta davanti che russava, giuliano a sinistra che russava, emanuele a destra che russava, qualcun'altro dietro che sicuramente avrebbe russato, insomma per solidarietà mi sono addormentato anch'io.

gornja bistra, il paesino, è composto da numero 1 strade, numero 15 case, numero 70 abitanti. le principali attività sono la fabbrica di stuzzicadenti all'ingresso del paese, il super-mega-minimarket, fornitissimo ma grande più o meno come un'edicola, il bar-pub-salotto culturale-discoteca-casa d'incontri dove si beve solo birra e si vedono le partite della bundesliga con il campo di pozzolana, dove chiedi un bicchiere d'acqua e ti danno la birra, chiedi anche un panino con la salsiccia-chivapcici e ti danno la birra, e poi il barbiere con lassie fuori al giardino, e l'uomo del monte a cui cortesemente ogni estate andiamo a rubare le pannocchie per cuocerle sul fuoco. sappiate che le pannocchie di mais sono una componente fondamentale nella vita di un volontario: visto che la dieta-ermanno è peggio dello scorbuto sulle navi prima del 1600, allora uno s'accontenta di trasformarsi in gallina e cibarsi di semi.

l'autobus ti lascia prima della salita che porta alla collina dell'ospedale, che lì per lì non è visibile. ormai lo sappiamo tutti che non è propriamente il castello del principe azzurro, ma è migliorato di molto da quando l'associazione ha iniziato a concentrare le proprie forze. la prima cosa che vidi fu un bambino autolesionista, legato al letto, che sporgeva la testa tra le inferriate, sbattendola contro le stesse con violenza. fortunatamente nelle esperienze successive ho progressivamente incontrato goran, non imbottito di calmanti, che giocava a pallone, vojo che passeggiava con un'infermiera, ed una volta addirittura gente del posto che faceva visita all'ospedale, cosa mai successa.

sappiate che, non so per quale motivo, gli abitanti del paesino che passano davanti l'ospedale, hanno come i paraocchi, quasi non esistesse. boh.

la prima cosa che un volontario nota è l'odore, a mio avviso abbastanza sostenibile, ora quasi scomparso. qualcuno preferisce uscire a prendersi una boccata d'aria, ma una cosa che non mi piace assolutamente è il turismo in ospedale. in fin dei conti questi bimbi non sono uno spettacolo, non si organizzano visite guidate. il volontario deve presentarsi con umiltà e discrezione, quando se la sente. anche queste attività hanno la loro etichetta, ed è solamente entrando con la convinzione di voler combattere la sofferenza con l'amore che si coglie il senso della carità.

schopenhauer indicava proprio la carità come uno dei mezzi per attingere all'assoluto, insieme all'arte ed all'ascesi, nel sobbarcarsi tutto il male dell'universo.

montare le tende per qualcuno è un'impresa ardua, quindi dopo un breve salto in ospedale si scende sul prato, ci si sistema. si trovano sempre strani buchi per terra, grossi quanto una lattina: la prima notte sentii qualcosa muoversi sotto la tenda, ed affacciandomi scoprii con curiosità che c'erano una miriade di lemmings (quei topolini dal pelo castano) che facevano capolino su e giù dai fori nel terreno. sono troppo carini, ma un pò invadenti, visto il numero di visite effettuate nella depandance da quando i volontari del campo permanente ci abitano.

una buona cosa della "za-depandanska", questo il soprannome del paio di stanze in cui alloggiano i volontari (il nome ufficiale è "casa delle rose blu" mi sembra), è che si vive in comunità: si mangia, si beve, si cucina, si dorme, si canta, si prega, si va al bagno, tutti insieme allegramente. ma visto che eravamo davvero troppi, noi maschietti abbiamo dovuto dormire in ospedale.

non è la prima volta che mi trovo con un bambino, o un disabile, devo dire però che l'approccio non è stato così immediato, forse per la mia istintiva disposizione a pormi domande, ed a catalogare cosa sia giusto al momento. alcuni bimbi sono tanto carini, sono giocattoli che ci riempiono il cuore di gioia, perchè vivono in condizioni poco favorevoli, ma al momento sembrano felici perchè ci siamo noi a fargli compagnia. ed anche noi siamo felici perchè loro rispondono ai nostri stimoli attivamente e visibilmente: diciamo che sono un contentino per il nostro cuore. tutti i bambini del mondo che sono sani sono bellissimi e cari, disse il direttore dell'ospedale, zeljko weiss. però per amare ed accarezzare i bambini che da fuori non sono così belli, si deve avere un cuore. c'è qualcuno che ha detto: ma perchè non li ammazzano tutti?

questa affermazione mi ha dato molto da pensare, sul valore della formazione sociale e culturale che devono impartirci i genitori e su quella che ci diamo da noi, ma soprattutto sulla legittimità o meno dell'uomo a togliere la vita. per me non si discute.

credo fermamente in dio, e questo non l'ho mai messo in dubbio, nè nascosto agli altri, nè ne ho mai avuto paura. ma si sa che altri ideali spesso vacillano: sono capitato nell'ospedale proprio in momenti del genere, in cui le convinzioni cadevano, o meglio evolvevano. c'è stata però un'esperienza che mi ha donato una certa sicurezza, e sembrerà incredibile, ma me la porto ancora dietro. ermanno aveva proposto di tenere il santissimo con sè, per pregare, per riflettere, per sentirci in comunione con l'assoluto, non so, ognuno da la propria valenza alle esperienze. personalmente avevo chiesto di tenerlo un pò il venerdì, tuttavia il mistero è capitato tra le mie mani la domenica, ed era in una veste diversa dagli altri giorni della settimana, una versione un pò più grande del solito della scatola dorata. non che avessero importanza le dimensioni, ma era un aspetto-effetto che trasmetteva un non so che di maestoso.

pregare. a me non piace ripetere quel che ci hanno insegnato a catechismo, quando eravamo più giovani. con tutto il rispetto, mi sembrano sterili esercizi di memoria, ma ricordiamo che, come disse il dalai lama, nella preghiera è riposto un segreto ed un potere incommensurabile, e quindi la preghiera è un importante componente della nostra personalità. però preferisco fare una chiacchieratina, sui temi che capitano, ringraziare senza chiedere qualcosa in cambio, donare quel che ho o cerco di ottenere (ma questo è già una cosa molto difficile), ascoltando poi cosa ho da dire, o cosa hanno da dire dall'alto, cercando di cogliere tutti i segnali che vengono inviati, potenziali o reali che siano. dico sempre che di sicuro lassù qualcuno ci ama, come giuliano palma ai tempi dei casino royale, e che ci trasmette i propri messaggi in modo che possiamo coglierli solo noi, ed in particolare nei momenti in cui sortiscono il maggiore effetto sulla nostra esistenza. anche paulo coelho ci ha spiegato che per realizzare le nostre leggende personali dobbiamo cogliere tutti gli indizi che la vita ci fornisce, interpretarli con la nostra chiave, e corrergli dietro.

durante la preghiera ho fatto un giro nell'ospedale, bimbo per bimbo, anche quelli con cui non avevo mai avuto nulla da condividere. ho parlato un pò con loro, non nel linguaggio convenzionale, bisogna capirsi in qualche maniera. c'era uno strano silenzio, forse perchè era ora di pranzo, caldo insopportabile, quasi tutti i volontari erano a riposo; ho iniziato ad ascoltare, o almeno a tentare di farlo, cosa volessero dirmi quei bimbi, un pò malconci, un pò soli.

scacciavo le mosche posarsi sui loro visi immobili, ed andavo ragionando sulle loro immobilità.

non potevano però essere fermi nel pensiero, anche se racchiusi da un processo in corto circuito. ho visto menti vagare tra le nubi bianche, e correre su specchi d'acqua, suonare strumenti, una anche ballare con i pattini sul ghiaccio. altri semplicemente chiedevano una mamma che li stringesse, o un papà che li portasse a fare un giro in bicicletta, un fratellino con cui giocare ai lego. sentivo questo, o forse ero io ad immaginare tutto così. silenziosi, a mio avviso parlavano tra loro: come gli animali riescono a capirsi d'istinto, anche loro comunicavano così.

mi chiedevo se realmente fosse così, e me lo auguravo.

vedevo una tavola imbandita con tutti loro seduti, che si scambiavano tranquillamente opinioni, ma poi guardavo il soffito bianco (fortunatamente bianco...) e balzava alla mente che questo era il loro panorama, il mondo che giravano, i locali dove andavano la sera, e quel silenzio disturbato da una radiolina gracchiante era la loro musica, i dischi che si facevano prestare dagli amici. le loro penne, i colori ed i fogli di carta erano lì, nell'aria, e la loro sconfinata fantasia li materializzava, facendoli volteggiare nel vuoto proprio davanti ai loro occhi. ma c'era marija che è cieca. quali oggetti allora? se non i colori, le sensazioni. quel caldo fuoco scintillante che si percepisce prima di andare a dormire, il campo stellato in cui corriamo quando ci premiamo le palpebre chiuse, in cui attraversiamo galassie di forme simmetriche, come li ha fatti suoi? my funny valentine, miles davis, o tequila sunrise, suonano nella mia mente. ed un bimbo sordo dalla nascita? quali le sue melodie?

il cruccio era su come immaginassero la continuità delle forme nello spazio, o quale fosse la percezione di suoni e rumori. arrivavo sempre a chiedermi quale fosse il loro ideale di vita, e se solo avessi potuto ascoltarlo... ascolto suite bergamasque e rivedo i loro occhi fare su giù destra sinistra e cogliere particolari e dilatare le pupille, le manine protese per toccare le tue labbra, per frugarti nelle narici o tra le palpebre e per strapparti un pò di barba, come se fosse la prima volta. come in un primo contatto con altre forme viventi.

come la prima volta.

la prima volta che vedono esseri umani cosi poco esseri e così straordinariamente umani. (sergio)

le loro prime volte, la prima volta più o meno di tutto, la prima volta che provassero qualche emozione, o un pò di calore.

delle vite così trascurate sono state private anche delle emozioni, delle sensazioni che il nostro essere umani può offrirci.

si. ma a loro interessa tutto questo? cioè, se lo pongono il problema? sono menti superiori che hanno risposte a tutte le domande, o vivono nell'apatia? o semplicemente sono esseri umani, scevri da ogni convenzione e vanità, semplici ed essenziali, come nessuno di noi è, il cui unico problema consiste nell'attuazione del loro pensiero?

ogni nostra attenzione ripaga questi bambini di una vita di indifferenze? loro vogliono questo?

mi risponde cecilia: non hanno bisogno di qualcuno di speciale, vogliono solo essere amati nel modo più semplice e spontaneo che ci sia.

come dei bambini, come dai figli, come mamma e papà.

non mi sono sentito fortunato, nè sollevato per la mia condizione normale, che poi quale sia il normale nessuno lo sa, ma unico spettatore dell'ermetica rappresentazione della commedia umana.

ho pensato al quanto sia triste l'abbandono, e nella vita di tutti i giorni come questo non ci appaia evidente pensando ai nostri genitori, ai fratelli, alle persone con cui non siamo in pace, a chi è lontano. io abito con nonna teresa, ma ci sono altre persone che dovrei riavvicinare, non abbandonare, ora che so cosa significhi.

non ho trovato modo di trasmettere tutto questo ad uno solo di quei bimbi, pur amandolo con tutto il cuore.

ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi, ma purtroppo non c'è modo.

l'unica era donargli tutto il calore che potevo, che tutti percepiamo, perchè un corpo ce lo abbiamo tutti.

mi sentivo male per non poter far altri sforzi tesi a migliorare la loro condizione.

visitavo le stanze dove notoriamente ci sono bambini non troppo simpatici, non troppo carini. daniel l'ho avvicinato solo quel giorno, ma è un grande. li travestivo, li facevo specchiare, suonavo canzoni anche se sono un pessimo chitarrista, cantavo nei loro orecchi, ho provato a far disegnare un bambino, ho fatto suonare la pianola e la chitarra a josip, ho portato marija ed altri sul prato a piedi nudi, nell'acqua, sull'altalena, vento nelle faccia, il sole sulla pelle, e li vedevo felici. però non era abbastanza per loro, e consideravo questi umili sforzi come un vano tentativo.

anche l'ostacolo della lingua era insormontabile, tanto che josip mi guardava stupito e si agitava nel letto, rideva, mentre leggevo libri trovati nella biblioteca con il mio croato dissacrante. però rideva. per lui forse ero buffo, ma quella era l'attuazione del mio pazzo ideale, e non riuscivo ad ottenere risultati meno esilaranti. tuttavia josip rideva, ed io ridevo con lio. ridere fa bene, migliora la qualità della vita.

capita spesso di riflettere sulla nostra vita, chiedendoci cos'è che conosciamo che fa bene e non dà problemi alla morale, e che vorremmo fare sempre. esprimere il nostro amore, in maniera incondizionata: facendo felici gli altri, siamo felici anche noi.

e da qui riparte la canzone che ci fa rivivere quel familiare clima d'amicizia: tutti sconvolti dall'amore dato e ricevuto nelle camerate, da quello che ci fa lavorare sodo nei campi o in casa, da quello dei momenti di comunità, degli scherzi, dei sorrisi, dei baci di ragazzi, dell'estate. (giorgia)

la notte è tutt'altra cosa. ascolti malinconico un carillion in lontananza, o il pianto di un bimbo, ed hai la costante tentazione di essere l'angelo della buonanotte. viaggiando con passo felpato tra i lettini bianchi, carezzi amorevolmente tutti quei visi, a volte anche deformi, ma così teneri, mentre cresce una sinfonia di violini. daresti la vita per loro, per poterli sentire parlare, ridere, per poterli vedere correre sul prato, o anche solo scarabocchiare su un foglio. in verità, in quel silenzio sembra di poter palpare un'aura mistica, un senso panico, di fusione con quel giagantesco meccanismo circolare che è l'universo. senti un contatto fraterno con l'amore, quasi una confidenza: ma a pensarci è quel che senti tutti i giorni, che però si risveglia con la veemenza di una tempesta, ma ha la delicatezza di un fiore che oscilla al vento. senti sciogliere quella patina che ti avvolge il cuore, e capisci l'importanza di un semplice gesto, il valore dell'essenzialità nella vita.

immagini che sia il momento di riconsiderare il proprio operato, da cui partire per trascorrere il resto della vita così. tuttavia, perchè qui non so amare? perchè tornati a casa il cuore si indurisce di nuovo?