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screzii e scherzi provenienti dalle urticanti risorse del calcolatore dittatoriale [piko!], motore dell'intero sito.

 
di piko! (del 24/05/2002 @ 11:59:23, in _muy felìz :., linkato 1577 volte):.

ho cercato di compensarmi con lo spirito.

voi pregiate sopra ogni cosa e non vi stancate mai di lodare la costanza dei sentimenti e la coerenza del carattere. e perché? perché siete vigliacchi, perché avete paura di voi stessi, cioè di perdere - mutando - la realtà che vi siete data, e di riconoscere, quindi, che essa non era altro che una vostra illusione, che dunque non esiste alcuna realtà, se non quella che ci diamo noi.

ma che vuol dire, domando io, darsi una realtà, se non fissarsi in un sentimento, rapprendersi, irrigidirsi, incrostarsi in esso? e dunque, arrestare in noi il perpetuo movimento vitale, far di noi tanti piccoli e miseri stagni in attesa di putrefazione, mentre la vita è flusso continuo, incandescente e indistinto.

vedi, è questo il pensiero che mi sconvolge e mi rende feroce!

la vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma.

ogni forma è la morte.

tutto ciò che si toglie dallo stato di fusione e si rapprende, in questo flusso continuo, incandescente e indistinto, è la morte.

io vedo, con ribrezzo, il mio spirito dibattersi in questa trappola, per non fissarsi anch'esso nel corpo già leso dagli anni e appesantito. scaccio subito ogni idea che tenda a raffermarsi in me; interrompo subito ogni atto che tenda a divenire in me un'abitudine; non voglio che il mio spirito mi s'indurisca anch'esso in una crosta di concetti. ma sento che il corpo di giorno in giorno stenta a seguire lo spirito irrequieto; casca, casca, ha i ginocchi stanchi e le mani grevi… vuole il riposo! glielo darò.

no, no. non so, non voglio rassegnarmi a dare anch'io lo spettacolo miserando di tutti i vecchi, che finiscono di morir lentamente. no. ma prima non so, vorrei far qualche cosa d'enorme, d'inaudito, per dare uno sfogo a questa rabbia che mi divora.

 

io già non lo stavo più ad ascoltare, stavo dietro ai grilli che avevo per la testa e con un gesto impetuoso d'un tratto mi piantai la bocca della pistola sulla fronte, sopra l'occhio destro. un uomo che si lascia trasportare dalle sue passioni, perde ogni facoltà di giudizio e viene considerato come un ubriaco, come un pazzo. oh gente ragionevole! - esclamai sorridendo - passione! ebbrezza! pazzia! state lì tutti tranquilli, indifferenti, voialtri uomini morali! biasimate colui che beve, esecrate colui che ha perduto il senno, passate per la vostra strada come lo scriba e ringraziate iddio come il fariseo che non vi ha fatti simili a costoro! sono stato ubriaco più di una volta, le mie passioni non sono mai state molto lontane dalla pazzia, eppure non me ne pento: poiché nel mio piccolo sono riuscito a comprendere che tutti gli uomini straordinari i quali hanno compiuto qualche cosa di grande, qualche cosa che varcava i limiti delle nostre normali possibilità, sono sempre stati diffamati come ubriachi e come pazzi. ed anche nella vita quotidiana, è una cosa insopportabile sentir gridare dietro a chiunque abbia compiuto un'azione anche solo relativamente ardita, nobile ed inconsueta: quell'uomo è ubriaco, quell'uomo è pazzo! vergognatevi, gente sobria! vergognatevi, gente saggia! - .
stavo per interrompere il discorso; giacchè non c'è nulla che mi faccia perdere la calma come vedere avanti uno con un luogo comune insignificante, quando io parlo con il cuore in mano. tuttavia mi rimisi subito perché quella frase l'avevo già sentita spesso e spesso m'aveva fatto arrabbiare, e gli ribattei con una certa vivacità: - tu la chiami debolezza? ti prego, non lasciarti ingannare dalle apparenze. un popolo che languisce sotto il giogo insopportabile di un tiranno, merita di essere chiamato debole se alla fine insorge e infrange le sue catene? un uomo, che per lo spavento di vedere il fuoco distruggere la sua casa, sente tutte le proprie forze moltiplicarsi e con facilità trasporta pesi che in condizioni normali potrebbe appena sollevare; uno che per il furore di essere stato offeso combatte contro sei nemici e li vince, può essere chiamato debole? e se un eccesso fisico viene considerato come una forza, perché non lo sarà anche l'eccesso dei sentimenti? - .

 

sospirò per rimettersi, e singhiozzando lo pregò di continuare a leggere, lo pregò e nella sua voce c'erano gli echi del cielo! lui tremava, gli pareva che il cuore gli scoppiasse, sollevò il foglio e lesse con voce rotta. tutta la forza di queste parole colpì l'infelice. preso dalla disperazione si gettò alle sue ginocchia, le afferrò le mani, se le premette contro gli occhi, contro la fronte. i loro sensi si confusero, essa stringeva le sue mani, se le stringeva sul petto, si inchinò con un gesto doloroso verso di lui, e le loro guance infuocate si toccarono. il mondo dileguò d'intorno, egli la prese fra le braccia, se la strinse al petto e coperse di baci furiosi le sue labbra tremanti. e gettando uno sguardo pieno d'amore sull'infelice essa corse nella stanza accanto e vi si rinchiuse. stese le braccia verso di lei ma non osò trattenerla. rimase steso a terra, con la testa sul canapè e restò in questa posizione per più di mezz'ora finchè un rumore lo richiamò a se stesso. era la serva che voleva preparare la tavola. andò un paio di volte su e giù per la stanza, e poiché si ritrovò solo, si avvicinò alla porta del salotto a chiamarla sottovoce. ella non rispose. giunse correndo alle porte della città. le guardie che erano abituate a vederlo, lo lasciarono passare senza dir nulla. cadeva con violenza nevischio, e solo verso le undici tornò a bussare alla porta. quando tornò a casa, il suo servitore si accorse che aveva perduto il cappello. non osò chiedere nulla. lo aiutò a spogliarsi, era tutto inzuppato. più tardi il suo cappello fu trovato su una rupe che strapiomba sulla valle dall'alto della collina ed è incredibile come egli possa essere salito lassù nella notte buia ed umida, senza precipitare.

 

vanamente avevo sperato di trovare nel mio paese di che calmare l'inquietudine, l'ardore di desiderio, che mi seguono ovunque.

lo studio del mondo non mi aveva insegnato nulla, tuttavia non avevo più la dolcezza dell'ignoranza.
mi trovai ben presto più isolato nella mia patria di quanto non lo fossi stato in terra straniera.
volli gettarmi per qualche tempo in un mondo che non mi diceva nulla e che non m'intendeva.

la mia anima, che nessuna passione aveva ancora logorato, cercava un oggetto che potesse legarla a sé.
ma mi avvidi che davo più di quanto non ricevessi: non si richiedeva da me né un linguaggio elevato, né un sentimento profondo.
non ero che occupato a rimpicciolire la mia vita, per metterla al livello della società.

trattato ovunque come uno spirito romantico, vergognoso della parte che sostenevo, disgustato sempre più dalle cose e dagli uomini, trovai da principio abbastanza piacere in una vita oscura e indipendente.

sconosciuto, mi mescolavo alla folla: vasto deserto d'uomini!
quando giungeva la sera, riprendendo la via del mio rifugio, mi fermavo sui ponti per veder tramontare il sole. l'astro, infiammando i vapori che si levavano dalla città, sembrava oscillare lentamente in un fluido d'oro, come il pendolo dell'orologio dei secoli.
mi ritiravo di notte, attraverso un labirinto di vie solitarie.
guardando i lumi che brillavano nelle dimore degli uomini, mi trasportavo col pensiero alle scene di dolore e di gioia che essi rischiaravano.

e pensavo che sotto tanti tetti abitati, io non avevo una donna.

quella vita, che m'aveva all'inizio affascinato, non tardò a divenirmi tediosa.
mi misi a sondare il mio cuore, a domandarmi cosa desiderassi.

non lo sapevo.

ma eccomi all'improvviso risoluto a terminare in una sorta d'esilio una carriera appena cominciata, e nella quale avevo già divorato dei secoli.
abbraccia il progetto con l'ardore che metto in tutti i miei disegni.
mi si accusa di avere gusti incostanti, di non poter godere a lungo della stessa chimera, d'essere preda di un'immaginazione che si affretta ad arrivare al fondo dei piaceri, come se fosse oppressa dalla loro durata.
mi si accusa di oltrepassare sempre la meta che sono in grado di raggiungere.
cerco soltanto un bene sconosciuto, il cui istinto mi perseguita!

è colpa mia se trovo ovunque dei limiti, se ciò che è finito non ha per me alcun valore?

la solitudine malinconica, lo spettacolo della natura, mi fecero piombare in uno stato pressoché impossibile a descriversi.
per così dire, solo sulla terra, non avendo ancora affatto amato, ero come sommerso da una sovrabbondanza di vita.
talvolta arrossivo all'improvviso, e sentivo scorrere nel mio cuore come dei ruscelli di lava ardente.
talvolta gettavo delle grida involontarie, e la notte era egualmente turbata dai miei sogni e dalle mie veglie.

mi mancava qualche cosa per riempire l'abisso della mia esistenza.

ascoltavo motivi malinconici, che mi ricordavano che in ogni paese il canto naturale dell'uomo è triste, anche quando esprime la felicità. il nostro cuore è uno strumento incompleto, una lira a cui mancano delle corde, e con la quale siamo costretti a rendere gli accenti della gioia sul tono consacrato ai sospiri.

così pensando, camminavo a grandi passi, il viso in fiamme, mentre il vento sibilava tra i miei capelli, senza sentire né pioggia né gelo.
ammaliato, tormentato, e come posseduto dal demonio del mio cuore.
la notte, quando le piogge cadevano sul mio tetto, quando attraverso la finestra vedevo la luna solcare il cumulo delle nubi, mi sembrava che la vita si reduplicasse al fondo del mio cuore, e che avrei avuto la forza di creare dei mondi.

se avessi potuto far partecipare qualcun altro agli slanci che provavo!

oh dio! se tu mi avessi dato una donna secondo i miei desideri! se, come al nostro primo progenitore, tu mi avessi condotto per mano un'eva tratta da me stesso… bellezza celeste, io mi sarei prosternato dinanzi a te; poi, prendendoti tra le braccia, avrei pregato l'eterno di donarti il resto della mia vita.

ero solo. solo sulla terra!

un segreto languore si impadroniva del mio corpo. ben presto il mio cuore non fornì più alimento al mio pensiero, e non mi accorgevo della mia esistenza se non che per un profondo senso di noia.
lottai qualche tempo contro il mio male, ma con indifferenza e senza avere la ferma risoluzione di vincerlo.
infine, non potendo trovare rimedio a quella strana ferita del mio cuore, che non era da nessuna parte ed era ovunque, mi risolvetti a lasciare la vita.



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